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Detenuto suicida in carcere a Pistoia: è il 73esimo nel 2025

L'uomo di 54 anni era in attesa di giudizio per reati in ambito familiare. L'allarme dei sindacati della polizia penitenziaria

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PISTOIA – Nel primo pomeriggio di ieri (6 dicembre) al carcere di Pistoia, un detenuto di origini rumene si è tolto la vita all’interno della propria cella. L’uomo, nato nel 1971 era imputato e in attesa di giudizio per reati in ambito familiare.

Al momento dell’accaduto si trovava in cella con altri ristretti: sono stati proprio questi ultimi, insospettiti dal fatto che non uscisse dal bagno, a lanciare immediatamente l’allarme.

Nonostante il tempestivo intervento della Polizia Penitenziaria e del personale sanitario, ogni tentativo di rianimarlo è risultato purtroppo inutile. Lo rende noto il Sindacato autonomo polizia penitenziaria.

Francesco Oliviero, segretario per la Toscana del Sappe, sottolinea come “questo grave episodio rappresenti l’ennesimo segnale dell’emergenza che attraversa il sistema penitenziario, e richiama l’attenzione delle istituzioni sulla necessità di interventi immediati e strutturali. Non si può ignorare la situazione critica della casa circondariale di Pistoia, da tempo afflitta da una pesante carenza di organico che incide direttamente sulla capacità di vigilare, prevenire e gestire situazioni di emergenza. Il personale della polizia penitenziaria continua a operare con professionalità, pur trovandosi quotidianamente a fronteggiare condizioni di lavoro sempre più gravose, turni massacranti e risorse insufficienti. La tragedia odierna dimostra quanto sia urgente un intervento deciso da parte del ministero della giustizia e dell’amministrazione penitenziaria”.

“È indispensabile – conclude il sindacalista – quindi la necessità di un immediato rafforzamento del personale, di strumenti adeguati all’osservazione dei detenuti e di un piano organico di prevenzione del disagio all’interno delle carceri, affinché episodi così drammatici non continuino a ripetersi”.

Per il segretario generale del Sappe Donato Capece, “questo dramma riporta alla luce importanti interrogativi riguardo al sistema di assistenza psicologica e sanitaria negli Istituti. La polizia penitenziaria si trova a lavorare in condizioni di emergenza seria, dove spesso le carceri sono utilizzate come ospedali psichiatrici improvvisati. In mancanza di personale esperto, molte problematiche individuali vengono sottovalutate e la gestione di tali situazioni ricade sulla polizia Ppnitenziaria, che deve essere pronta a svolgere ruoli diversi come quello del vigile del fuoco, della polizia giudiziaria, della pubblica sicurezza, ma anche di primo soccorso, medico, infermiere, psicologo e persino mediatore culturale. Non è responsabilità del corpo sopperire alle persistenti e gravi carenze della sanità penitenziaria, né lo Stato può pensare che i baschi azzurri siano sempre in grado di compensare le lacune quotidiane del sistema penitenziario”.

“È fondamentale – conclude – attuare interventi rapidi e concreti per rafforzare il personale medico e psicologico specializzato, fornire strumenti e protocolli adeguati a prevenire gesti estremi, così come garantire un maggior supporto psicologico agli operatori, spesso chiamati ad affrontare eventi fortemente stressanti. Solo investendo nella prevenzione e nel benessere psicofisico dei detenuti sarà possibile alleggerire il carico, già pesantissimo, sulle spalle degli agenti di polizia penitenziaria”. Ed evidenzia che “il suicidio di un detenuto è fonte di grande stress sia per gli altri detenuti che per gli agenti di polizia penitenziaria, che svolgono il loro lavoro ogni giorno con professionalità, impegno e umanità in condizioni difficili. Ecco perché risulta fondamentale adottare programmi di prevenzione del suicidio e organizzare servizi di intervento efficaci, misure necessarie non soltanto per i detenuti ma per tutto l’istituto coinvolto. In Italia la questione della prevenzione viene affrontata con attenzione, ma purtroppo continuano a verificarsi casi di detenuti che decidono di togliersi la vita durante la reclusione. È quindi evidente la necessità di intervenire tempestivamente per affrontare le criticità che permangono nel sistema penitenziario: il governo ne è consapevole e si auspica a breve un incontro per definire strategie condivise d’intervento. Perché il suicidio rimane purtroppo una delle principali cause di morte nelle carceri e, sebbene l’Italia abbia leggi avanzate per prevenirlo, restano ancora casi di detenuti che si tolgono la vita in cella”.

Sul tema anche la UilPa: “È il 73mo ristretto (più un internato in una Rems) che dall’inizio dell’anno si toglie la vita – sottolinea il segretario Gennarino De Fazio -, cui bisogna aggiungere ben quattro operatori, uno dei quali solo ieri è stato scagionato, post mortem, dalle infamanti accuse di tortura per i fatti occorsi nella casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere nel 2020. Un totale di 77 morti di carcere e per carcere che, da solo, rende l’idea di un sistema d’esecuzione penale inframurario che toglie ogni speranza, alla stregua dell’inferno dantesco, a chi lo subisce in quanto recluso e a chi, a sua volta, lo patisce in quanto vi lavora indossando l’uniforme blu della polizia penitenziaria il cui motto, Despondere spem munus nostrum, viene quotidianamente oltraggiato”.

© Riproduzione riservata

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