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Perché regalare un videogioco non è una cattiva idea

Hai regalato un videogioco a tuo figlio? Hai fatto bene. Non per ragioni educative astratte, ma perché quel gesto intercetta una dinamica concreta che riguarda una generazione sotto pressione. Il burnout non è più un rischio futuro: è già presente tra studenti universitari e giovani adulti, prima ancora dell’ingresso stabile nel lavoro. Ed è dentro questo scenario che un titolo storico dell’industria videoludica entra, con sorprendente precisione, nel campo dell’analisi scientifica.

Super Mario Bros. non è più soltanto un riferimento culturale. Uno studio accademico recente lo colloca all’interno di un nesso misurabile tra esperienza ludica, felicità soggettiva e riduzione del rischio di burnout. Nessuna idealizzazione del gioco digitale, nessuna operazione nostalgica. I dati mostrano una correlazione strutturata che riguarda il modo in cui alcune esperienze semplici e familiari incidono sul carico emotivo dei giovani adulti.

Dal sovraccarico emotivo al rischio di burnout

Il contesto di partenza è quello di una generazione esposta a una sollecitazione costante. Studio, lavoro, relazioni e presenza digitale tendono a sovrapporsi senza soluzione di continuità. La valutazione è permanente, formale o informale. Anche il tempo libero viene spesso assorbito da logiche di prestazione, confronto o visibilità. In questo quadro, il burnout assume una configurazione diversa rispetto al passato: meno legata alla durata dello sforzo, più alla sua pervasività.

Lo studio pubblicato su JMIR Serious Games parte da un’osservazione empirica raccolta sul campo. Durante interviste approfondite, numerosi studenti universitari hanno indicato videogiochi classici e non competitivi come strumenti abituali di decompressione. La scelta ricade su titoli immediatamente riconoscibili, con regole chiare e carico cognitivo contenuto. Non ambienti che amplificano la pressione, ma che la sospendono.

Nelle descrizioni ricorre un elemento costante: l’assenza di giudizio. Yoshi e Super Mario Bros. vengono percepiti come spazi delimitati, privi di classifiche sociali, penalizzazioni cumulative o richieste di performance. L’errore non compromette l’esperienza, la ripetizione non genera frustrazione. In un ecosistema quotidiano dominato dalla misurazione continua, questa caratteristica assume un valore funzionale preciso.

Il punto non è il “rilassamento” in senso generico, ma l’interruzione temporanea di una dinamica di auto-valutazione costante. È su questo scarto che lo studio costruisce l’analisi successiva.

Felicità come fattore di protezione

La fase quantitativa della ricerca introduce una variabile specifica: la meraviglia infantile. Non viene intesa come nostalgia, ma come stato emotivo caratterizzato da curiosità, sorpresa e piacere immediato. Attraverso un questionario strutturato, i ricercatori misurano quanto questa dimensione venga attivata durante il gioco e la mettono in relazione con due indicatori: felicità generale e rischio di burnout.

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I risultati seguono una sequenza chiara. I partecipanti che riportano livelli più elevati di meraviglia infantile mostrano anche livelli più alti di felicità percepita. A loro volta, questi soggetti presentano un rischio di burnout inferiore. L’analisi statistica chiarisce un aspetto centrale: la felicità spiega interamente il legame tra meraviglia e riduzione del burnout. Non è una variabile accessoria, ma il meccanismo che tiene insieme il modello.

Questo passaggio ha implicazioni rilevanti. La riduzione del burnout non deriva direttamente dall’atto di giocare, ma dalla capacità dell’esperienza di generare uno stato emotivo positivo. In altre parole, non è il videogioco in sé a produrre l’effetto, ma la qualità affettiva che riesce ad attivare. Un’esperienza breve, priva di richieste implicite, capace di produrre piacere senza finalità ulteriori.

Perché alcuni videogiochi funzionano meglio di altri

La ricerca è stata condotta da studiosi dell’Imperial College London e della Kyushu Sangyo University, con un’attenzione esplicita alle caratteristiche strutturali dei giochi analizzati. Super Mario Bros. non viene considerato un oggetto neutro, ma il risultato di scelte di progettazione che incidono direttamente sull’esperienza emotiva del giocatore.

Livelli brevi, obiettivi immediatamente comprensibili, feedback rapidi, estetica non minacciosa. Il gioco non accumula tensione, non richiede continuità forzata, non costruisce debito cognitivo. L’errore è parte del meccanismo, non una sanzione. Questa architettura produce un ambiente che abbassa la soglia di accesso e limita la pressione interna all’esperienza.

I ricercatori definiscono questi contesti come microambienti digitali a bassa pressione. Spazi circoscritti, facilmente accessibili, che offrono una pausa effettiva senza invadere il resto della giornata. Non strumenti terapeutici e non sostitutivi di politiche strutturate sul benessere, ma elementi capaci di incidere sul carico emotivo quotidiano.

In una fase della vita segnata da aspettative elevate e risorse emotive fragili, il valore di esperienze progettate per non chiedere nulla in cambio diventa misurabile. Anche quando prendono la forma di un videogioco regalato.

Giovani

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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