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Babbo Natale, l’età in cui si smette di credere cambia tra i vari Paesi (e non è solo un numero)

Quando si smette di credere a Babbo Natale? Dipende, e non solo dal singolo bambino ma anche dal Paese in cui si cresce.

Di sicuro, c’è un momento preciso, spesso silenzioso, in cui il tintinnio delle renne sul tetto smette di essere una certezza e diventa una bella storia raccontata dai grandi. Non è solo la fine di un mito infantile, ma un vero e proprio rito di passaggio cognitivo che ogni bambino attraversa, seppur con tempi e modalità diverse a seconda della latitudine. Se fino a ieri la logistica di consegnare miliardi di pacchi in una sola notte sembrava plausibile, improvvisamente le leggi della fisica presentano il conto. E i camini diventano troppo stretti.

Questo disincanto non è uguale per tutti: fattori culturali e tradizioni locali anticipano o ritardano la scoperta della verità su Santa Claus. Scoprire come cambia l’età in cui si smette di credere a Babbo Natale tra i vari Paesi permette di capire diverse cose sulla società e su come vengono cresciuti i bambini, che saranno i cittadini del futuro.

Più precoci al Nord, ma non per tutti i Paesi: cosa dicono i dati

Mettendo in fila i dati disponibili, è subito chiaro che i bambini del Nord Europa e della Francia abbandonano il mito leggermente prima rispetto ai coetanei britannici o italiani. Ecco una classifica in ordine ascendente basata sull’età media in cui si smette di credere a Babbo Natale (o figure equivalenti), basata su diverse ricerche statistiche nazionali:

Germania: 6 anni e mezzo. I bambini tedeschi sembrano essere i più precoci nel sollevare il velo di Maya sul Natale;

Francia: 6 anni e 8 mesi. Uno studio di HMA! pubblicato su Le Parisien evidenzia anche differenze interne: a Bordeaux si smette a 6 anni e 4 mesi, mentre a Lille si resiste anche a oltre i 7 anni;

Stati Uniti: 7 anni e 2 mesi. I bambini americani si collocano in una fascia intermedia, perdendo l’innocenza natalizia poco dopo i sette anni;

Australia: 7 anni e mezzo. Nell’emisfero australe il mito resiste qualche mese in più rispetto agli Usa;

Inghilterra: 8 anni. Secondo l’Exeter Santa Survey condotta dal professor Chris Boyle, i bambini inglesi superano la soglia degli otto anni prima di smettere di credere;

Italia: 8-9 anni. Il nostro Paese si colloca tra quelli più “creduloni”. Il pediatra e docente Italo Farnetani colloca in questa fascia l’età della “svolta”, sebbene i primi dubbi inizino a serpeggiare già intorno ai sette anni;

Scozia: otto anni mezzo o poco più. Tra i Paesi con dati disponibili, i bambini scozzesi detengono il primato della “resistenza”, credendo a Babbo Natale quasi sei mesi in più rispetto ai vicini inglesi.

Cosa significa da un punto di vista neuropsicologico

Dietro questi numeri si nasconde una tappa fondamentale dello sviluppo neuropsicologico. Verso i sette-otto anni, il cervello del bambino transita dalla fase del “pensiero magico” a quella del “pensiero operatorio concreto”, come teorizzato da Jean Piaget. In questa fase, la logica inizia a prevalere sulla fantasia. Il bambino non smette di credere perché qualcuno gli rivela la verità, ma perché la storia di Babbo Natale inizia a scricchiolare sotto il peso delle incongruenze: le renne non hanno ali aerodinamiche, Babbo Natale non può essere in due centri commerciali contemporaneamente e il papà ha la stessa carta da regalo degli elfi.

Uno studio dell’Università di Exeter (Regno Unito) rivela che la scoperta della verità è spesso un processo graduale e non traumatico. Il 65% dei bambini continua a fingere di credere anche dopo aver capito la verità, spesso per compiacere i genitori o per non rinunciare al gioco. È un atto di “complicità inversa”: sono i figli a proteggere la magia per i genitori.​

Fiducia tradita o crescita necessaria?

Dal punto di vista pedagogico, il momento della rivelazione è spesso vissuto con più ansia dagli adulti che dai bambini. I dati dell’Exeter Santa Survey mostrano che, mentre un terzo dei bambini si è sentito “turbato” dalla scoperta, solo una piccola minoranza (15%) si è sentita “tradita” dai genitori e il 10% ha provato rabbia. Tuttavia, il 56% degli intervistati ha dichiarato che la fiducia nei genitori non è stata intaccata dalla bugia bianca del Natale.​

Gli esperti, come la psicologa Candice Mills dell’Università del Texas, suggeriscono di accompagnare questa fase senza forzature. Quando il bambino inizia a fare domande dirette (“Babbo Natale sei tu?”), è il segnale che è pronto per la verità. Mentire a oltranza di fronte a prove logiche evidenti potrebbe essere controproducente, minando la credibilità dell’adulto proprio nel momento in cui il bambino sta affinando il suo spirito critico.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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