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Yemen, il grande gioco arriva al Somaliland. Mentre Riad e Abu Dhabi sono ‘ai ferri corti’

(Adnkronos) –
Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti tra tensioni e competizione. Rischia di aprirsi un nuovo dossier per Donald Trump: crisi interna e dinamiche regionali fanno riaccendere i riflettori sullo Yemen, mentre il mondo fa i conti con l’ultimo passo di Benjamin Netanyahu, dopo che Israele ha annunciato il riconoscimento del Somaliland come “stato indipendente e sovrano”. Una mossa che per gli analisti è chiaramente basata su ragioni strategiche dettate dalla necessità di alleati nell’area, anche in funzione anti-Houthi. 

In uno Yemen da anni ‘prigioniero’ di tensioni interne e regionali, teatro di una grave crisi umanitaria, spaccato da una guerra civile con gli Houthi, che l’Iran è da tempo accusato di sostenere, stamani il capo del Consiglio presidenziale yemenita, Rashad al-Alimi, ritenuto vicino a Riad, ha dichiarato lo stato d’emergenza, per 90 giorni. Ha disposto la chiusura di porti e confini per 72 ore. E ha annunciato, ha riportato l’agenzia yemenita Saba, la fine del patto di difesa con gli Emirati nel mezzo dell’escalation di tensioni nel sud del Paese. 

 

Di recente sono andate aumentando sempre più tensioni tra il ‘fronte’ governativo sostenuto dai sauditi e il Consiglio di transizione del sud, secessionisti che si ritiene siano appoggiati dagli Emirati. Nelle scorse ore la Coalizione a guida saudita ha reso noto di aver effettuato un’ “operazione militare circoscritta” nel porto di Mukalla, nel sud dello Yemen, capoluogo del governatorato di Hadramaut dopo un monito al Consiglio di transizione del sud contro azioni militari nell’area che confina con la monarchia del Golfo e che è stata conquistata nei giorni scorsi. Secondo la Coalizione, sabato e domenica scorsi nel porto di Mukalla sono entrate due imbarcazioni, accusate di trasportare armi e mezzi “per sostenere” il Consiglio di transizione del sud, che punta alla formazione di uno stato separato dal nordovest dello Yemen, in mano agli Houthi dal 2014. E’ la seconda operazione di cui si ha notizia in pochi giorni. Secondo fonti saudite, evidenzia il Wall Street Journal, le due imbarcazioni cariche di armi e mezzi erano partite dal porto emiratino di Fujairah, con i sistemi di tracciamento spenti. 

Stamani il ministero degli Esteri saudita, denunciando minacce per la sicurezza nazionale del regno e per la sicurezza e la stabilità dello Yemen e della regione, ha “sottolineato l’importanza che gli Emirati Arabi Uniti accolgano la richiesta della Repubblica dello Yemen affinché tutte le loro forze lascino” il territorio yemenita “entro 24 ore e pongano fine a qualsiasi forma di sostegno militare o finanziario a qualsiasi parte in Yemen”. Non è chiaro, evidenzia la Cnn, quali forze emiratine siano presenti in Yemen. Sabato su X il ministro saudita della Difesa, Khalid bin Salman, aveva pubblicato una dichiarazione con la richiesta al Consiglio di transizione del sud di “consegnare in modo pacifico” al governo due governatorati. 

Preoccupazione per gli ultimi sviluppi nel sudest dello Yemen era stata espressa nel fine settimana dal segretario di Stato Usa, Marco Rubio, con la sollecitazione a “moderazione” e “diplomazia” per una “soluzione duratura”. Rubio ribadiva la gratitudine per la “leadership diplomatica dei nostri partner, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti”, e la posizione favorevole rispetto a “tutti gli sforzi per promuovere i nostri interessi di sicurezza condivisi”. 

 

Forse un nuovo dossier per Trump perché sono diventate sempre più complesse le relazioni tra Arabia Saudita, patria del sunnismo, ed Emirati, due Paesi partner degli Stati Uniti che sono stati uniti fino a qualche anno fa in nome della coalizione a guida saudita messa insieme per contrastare gli Houthi, sciiti, che nel 2014 hanno preso il controllo della capitale Sana’a. Obiettivi contrastanti tra Riad e Abu Dhabi. I sauditi sostengono uno Yemen unito, anche se in realtà, con gli Houthi che mantengono in modo saldo il controllo del nordovest e di Sana’a, Riad si è concentrata principalmente – sintetizza il Wsj – sulla gestione dei conflitti interni tra le fazioni yemenite e sul controllo delle zone di confine da parte di proxy. Ora però, rilevano gli osservatori, il Consiglio di transizione del sud controlla buona parte dello Yemen meridionale. 

Mukalla è a quasi 500 chilometri a nordest di Aden, ‘capitale’ per le forze anti-Houthi in Yemen da quando gli Houthi hanno preso Sana’a più di 11 anni fa. Proprio gli Houthi hanno minacciato di attaccare un’eventuale presenza israeliana in Somaliland, che si trova in una posizione strategica sul Golfo di Aden. 

Nei mesi scorsi Israele ha colpito obiettivi in Yemen in risposta ad attacchi degli Houthi che affermavano di agire a sostegno dei palestinesi della Striscia di Gaza martellata dalle operazioni militari israeliane contro Hamas e altri gruppi, scattate dopo l’attacco in Israele del 7 ottobre 2023. E Israele “ha bisogno di alleati nella regione del Mar Rosso per molte ragioni strategiche, tra queste la possibilità di una futura campagna militare contro gli Houthi”, ha spiegato il mese scorso l’Institute for National Security Studies, think tank israeliano, come rilancia la Bbc. Così il “Somaliland è un candidato ideale per una simile cooperazione perché può offrire a Israele un potenziale accesso a un’area operativa vicina alla zona di conflitto”. 

Israele sta innanzitutto cercando di contenere l’influenza iraniana nella regione del Mar Rosso, è l’analisi di Cameron Hudson, analista esperto di Africa interpellato dalla rete britannica. “Il Mar Rosso è anche una via di transito per armi e combattenti – osserva – E’ sempre stato fonte di sostegno e rifornimenti per i combattenti a Gaza. Quindi, avere una presenza, una presenza di sicurezza, una presenza di intelligence è utile per gli interessi di sicurezza israeliani”. 

 

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