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Mélenchon, Vallaud, Berger, Hollande… Dopo settimane di dibattito politico incentrato sulla prospettiva di una vittoria dell'estrema destra, con i risultati delle elezioni legislative 2024 parte in Francia il toto-nomi sulla figura che meglio potrà guidare la nuova maggioranza uscita dalle urne con il consenso della variegata coalizione chiamata ad esprimerla.
La scelta del futuro primo ministro spetta formalmente al presidente, Emmanuel Macron, che non è legalmente vincolato dai risultati delle elezioni, anche se la consuetudine politica vuole che il capo del governo sia scelto tra le fila della forza politica o della coalizione più forte, il Nuovo Fronte Popolare, composto da socialisti, verdi, comunisti e La France Insoumise (Lfi) di Jean-Luc Mélenchon. Le formazioni che compongono la coalizione vincente hanno subito rivendicato il diritto all'incarico: il presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, "dovrebbe chiedere ufficialmente al Nuovo Fronte Popolare di indicargli un nome per il ruolo di primo ministro", ha dichiarato la responsabile degli Ecologisti, Marine Tondelier, a Rtl, parlando di "logica istituzionale". Il primo segretario del P, Olivier Faure, e l'"insoumise" Mathilde Panot hanno entrambi affermato che il Nfp proporrà un nome "entro la settimana".
Il quesito centrale è chi la sinistra proporrà come primo ministro. Durante la campagna elettorale, il Nuovo Fronte Popolare ha scelto di non candidare una figura di riferimento, a differenza del Rn con il suo presidente Jordan Bardella e della coalizione pro-Macron, guidata dal primo ministro uscente Gabriel Attal. Il motivo non dichiarato è chiaro: la mancanza di consenso unanime. Le due principali forze all'interno della coalizione, Lfi e Socialisti, avranno il peso maggiore nei prossimi colloqui, il che potrebbe escludere fin dall'inizio la leader dei Verdi Marine Tondelier, nonostante la sua forte presenza durante la campagna elettorale. Il coordinatore de La France insoumise, Manuel Bompard, ha affermato su France 2 che "l'usanza repubblicana" prevede che il primo ministro appartenga "alla formazione politica della coalizione che ha il maggior numero di deputati", la sua, che ha ottenuto 74 deputati. Il Ps ha conquistato 59 seggi, gli Ecologisti 28 e i Comunisti 9. Diverse personalità, da Olivier Faure al comunista Fabien Roussel, senza dimenticare l'ex presidente socialista François Hollande e l'ecologista Yannick Jadot, hanno già ripetutamente escluso il leader "ribelle", Jean-Luc Mélenchon come possibile primo ministro. "Dobbiamo anche chiederci come governare, come essere in grado di pacificare questo Paese e garantire che si risanino le fratture che lo dividono profondamente". Ci sono quindi alcuni profili che spiccano più di altri", ha osservato il leader del Ps, rifiutandosi però di fare nomi. Se Lfi dovesse scegliere, la scelta più ovvia sarebbe probabilmente quella di Mélenchon stesso, ma l'approccio divisivo alla politica e la posizione dura del leader su questioni che vanno dall'economia alla guerra a Gaza lo hanno reso indigesto agli elettori moderati. Mélenchon ha detto di non volersi imporre in un ruolo di leadership.
Tra gli altri nomi di fedelissimi di Lfi circolati, quelli del coordinatore del movimento Manuel Bompard, la capogruppo Mathilde Panot, la figura in ascesa Clémence Guetté o Eric Coquerel, presidente della commissione finanze dell'Assemblea nazionale francese. Ci sono poi gli ex fedelissimi che hanno preso le distanze: tra questi François Ruffin, ex giornalista e regista che guarda alle prossime elezioni presidenziali, che ha criticato Lfi per quella che ha definito una mancanza di coinvolgimento nelle aree rurali francesi. Un'altra è Clémentine Autain, che ha fatto parte del gruppo Lfi nelle ultime due legislature ma che è diventata sempre più critica nei confronti di Mélenchon. Il mese scorso Autain ha dichiarato di essere "consapevole" di essere "una di coloro che possono pretendere di diventare primo ministro in caso di vittoria". Tra i socialisti – che hanno preso meno deputati di Lfi ma hanno comunque rafforzato la loro presenza in parlamento e potrebbero sperare di ricevere il sostegno dei Verdi nel tentativo di impedire agli Insoumis di prendere il controllo – i possibili candidati potrebbero provenire dalla nuova generazione di socialdemocratici, tra cui l'attuale capo del Partito socialista Olivier Faure, il presidente uscente del gruppo Boris Vallaud o lo Spitzenkandidat alle elezioni europee Raphael Glucksmann. Vallaud, 48 anni, è stato eletto per la prima volta in parlamento nel 2017. Ha studiato all'Ena a fianco di Macron e, come l'attuale presidente, è stato in precedenza vice segretario generale dell'Eliseo.
Ma anche François Hollande, che ieri ha chiarito di "non essere candidato a formare il governo", potrebbe provare a dire la sua: l'ex presidente socialista è pronto a fare il suo ritorno dopo aver vinto la corsa nella sua ex circoscrizione elettorale, diventando il secondo presidente nella storia moderna della Francia a rientrare nell'Assemblea nazionale dopo essere stato capo di Stato. Un modo per evitare il disaccordo tra i partiti potrebbe essere quello di scegliere una persona esterna alla scena politica. Il mese scorso il deputato socialdemocratico Glucksmann ha messo sul tavolo questa opzione proponendo Laurent Berger, ex leader del sindacato riformista CFDT. Berger è riconosciuto, sia a destra che a sinistra, per la sua capacità di creare consenso e colmare le divergenze. Un approccio moderato, che tuttavia, potrebbe non essere visto di buon occhio da Mélenchon. —internazionale/esteriwebinfo@adnkronos.com (Web Info)
Elezioni Francia, identikit del nuovo premier: parte il toto-nomi
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