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Tragedia durante l’Urbex: un ragazzo di 19 anni muore nel vuoto per una “moda” social

Era salito sul tetto per guardare il mondo da una prospettiva diversa, quella proibita e affascinante dei luoghi dimenticati, ma il lucernario sotto i suoi piedi non ha retto. Daniel Esteban Camera Garcia, 19 anni, residente a Casnigo, è morto nella notte tra sabato e domenica ad Alzano Lombardo, precipitando per cinque metri nel vuoto all’interno dell’ex Italcementi.

Insieme a lui c’erano degli amici che, loro malgrado, sono diventati testimoni di una “esplorazione urbana” — attività nota come “Urbex” — finita nel peggiore dei modi. Quella che doveva essere una notte di avventura tra le rovine industriali della Val Seriana si è trasformata nell’ennesima tragedia che accende i riflettori su una pratica pericolosa che si è diffusa sui social media facendosi strada tra una generazione che spesso si sente isolata dal mondo e in dovere di dimostrare qualcosa a sé e agli altri.

L’esplosione del fenomeno Urbex

L’Urbex (Urban Exploration) non è un fenomeno nato oggi.

Per anni è rimasta una passione di nicchia per fotografi e storici amatoriali, mossi dal motto “take nothing but pictures, leave nothing but footprints” (“non prendere nulla se non foto, non lasciare nulla se non impronte”), ma l’ecosistema digitale ha mutato radicalmente questa dinamica. La viralità di piattaforme come TikTok e Instagram ha trasformato fabbriche dismesse, ospedali psichiatrici e ville antiche in set ideali per contenuti “acchiappa-like”. La visibilità garantita da un video girato in un luogo inaccessibile spinge molti giovanissimi a ignorare le basilari norme di sicurezza. Il desiderio di emulazione è potente: basta cercare l’hashtag #urbexitalia per essere inondati di video con milioni di visualizzazioni che mostrano ragazzi in equilibrio precario su cornicioni pericolanti.

Come evidenziano recenti analisi, la “massificazione” del fenomeno ha portato a una diffusione sconsiderata delle coordinate geografiche di questi luoghi, non esponendo gli stessi al vandalismo, ma attirando verso questa attività persone impreparate ai seri rischi correlati.

Cosa spinge i giovani verso l’Urbex? Analisi psicologica dell’attrazione per il rischio

Perché un ragazzo di 19 anni rischia la vita per entrare in un cementificio dismesso? Ridurre tutto alla “ragazzata” sarebbe un superficiale.

Secondo gli esperti, il rischio in adolescenza assume spesso il valore di una “rivincita sociale”, uno spazio che i ragazzi occupano proprio perché percepito come proibito dagli adulti. In un contesto dove il disagio giovanile e l’isolamento sociale sono in crescita — il 39,4% degli adolescenti tra i 14 e i 19 anni vive forme di isolamento — l’Urbex fa vivere delle emozioni forti e la sensazione di avere un ruolo nella propria collettività.

Alla base di questi comportamenti c’è la “Fomo” (Fear of Missing Out), che spesso viene associata alla paura di essere tagliati fuori dal rapido aggiornamento della tecnologia e dal mondo che, soprattutto da un punto di vista professionale e di carriera, va troppo veloce. Tra gli adolescenti, però, la grande paura è quella di essere tagliati fuori dal contesto sociale, di rimanere indietro e restare soli, come già succede per gran parte del tempo, al di qua dello schermo.

Per gli psicologi che studiano l’Urbex, l’attrazione per il rischio è legata proprio alla reputazione: filmarsi su un tetto pericolante o in un ex manicomio abbandonato significa dimostrare coraggio, distinguersi, guadagnare status all’interno del proprio microcosmo di coetanei. In questo quadro, il pericolo reale viene spesso sottovalutato perché il cervello adolescente è più sensibile alla ricompensa immediata che alla valutazione razionale delle conseguenze, soprattutto se il gesto viene condiviso in tempo reale con il gruppo.

A spingere i ragazzi verso l’Urbex è, quindi, un mix di bisogno di identità, ricerca di emozioni forti e desiderio di riconoscimento, soprattutto in un’età in cui il corpo e i legami sono in trasformazione. L’adrenalina di intrufolarsi in luoghi proibiti funziona come un antidoto alla noia e alla sensazione di vuoto che molti adolescenti riferiscono, spesso in contesti di solitudine domestica e iperconnessione digitale. In una fascia d’età in cui quasi quattro giovani su dieci sperimentano forme di isolamento sociale, l’idea di far parte di un gruppo “di esploratori” diventa una forma di appartenenza alternativa, visibile e misurabile in like, commenti, visualizzazioni.

E l’adrenalina diventa una valuta sociale: postare la foto dal tetto sfondato è un modo per gridare la propria presenza in un mondo che spesso sembra non accorgersi di loro. Purtroppo, come dimostra la morte di Daniel, il confine tra un video virale e il silenzio definitivo è sottile come una lastra di vetro incrinata.

Rischi strutturali e patrimonio edilizio in pericolo

Il dramma di Alzano Lombardo costringe a guardare anche lo stato del patrimonio immobiliare italiano, che diventa teatro di tragedia lontano dalle luci della città e dalla sorveglianza. Le strutture abbandonate non sono parchi giochi: sono trappole di cemento e ruggine. E in Italia non sono poche: circa il 60% degli edifici presenti nel Paese è stato costruito prima del 1977, anno di introduzione delle principali norme antisismiche e di sicurezza moderna. All’interno di questi scheletri di cemento si nascondono insidie invisibili come solai marci, lucernari fragili coperti di polvere, presenza di amianto e sostanze tossiche.

Non esiste un censimento preciso degli incidenti legati all’Urbex, dato che spesso vengono archiviati come “cadute accidentali” o violazioni di domicilio, ma la cronaca recente segnala un aumento preoccupante di infortuni tra under 25 in contesti di abbandono edilizio. La combinazione tra l’incuria del territorio — con un’abitazione abbandonata ogni dieci nelle aree meno urbanizzate — e l’imprudenza giovanile crea una mix letale.

Oltre il pericolo: il nodo della legalità e degli spazi pubblici sicuri

Oltre al principale aspetto della sicurezza, ce n’è un altro meno raccontato, ma non meno importante: le conseguenze legali.

Praticare Urbex significa quasi sempre commettere il reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.) o invasione di terreni ed edifici (art. 633 c.p.), reati che possono macchiare la fedina penale di un giovane ben prima che si verifichi un incidente fisico. I fatti dimostrano che la legge penale e la repressione non bastano, occorre indagare le cause che portano i giovani a compiere questi gesti, così come accadde per il tetro fenomeno del Blue Whale, esploso nel 2017.

La tragedia di Alzano riapre il dibattito sulla carenza di spazi di aggregazione sicuri per la Gen Z. Se le città diventano “deserti urbani” dove il gioco e l’esplorazione sono vietati o recintati, i ragazzi cercheranno l’avventura altrove, nei vuoti urbani lasciati dal de-industrializzazione. Trasformare questi luoghi di morte in spazi di rigenerazione urbana potrebbe essere l’unica vera risposta strutturale per evitare che la curiosità di un diciannovenne si trasformi in una sentenza definitiva.

 

Giovani

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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