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Svolta su “Mia moglie”: tra gli amministratori del gruppo sessista c’è una donna

Quando, il 19 agosto scorso, è scoppiato il caso “Mia moglie” era opinione diffusa che il gruppo Facebook di stampo sessista fosse gestito da soli uomini. Invece, come riporta Repubblica, tra i due amministratori della comunità online, c’era una donna che, insieme a un uomo, gestiva il gruppo criminale da oltre 31mila iscritti, chiuso da Meta dopo la segnalazione di una vittima.

I membri del gruppo si scambiavano foto delle proprie mogli o compagne scattate nei contesti più disparati: dalle immagini in costume da bagno, a quelle che ritraggono le donne mentre cucinano o si rilassavano sul divano di casa, spesso in intimo: tutte condivise da partner o ex partner senza alcuna autorizzazione da parte delle vittime.

A denunciare sui social il gruppo Facebook è stata “No Justice No Peace”, con l’iniziativa “Not All Men”, che ha definito le attività del gruppo come “una palese forma di abuso, pornografia non consensuale e misoginia sistemica”, invitando gli utenti a segnalarlo direttamente a Facebook. “Chi partecipa a questo scempio è complice di un crimine”, scrive l’organizzazione su Instagram.

E lo è prescindere dal genere.

L’ipotesi della Procura di Roma

La presenza di una figura femminile nella gestione del gruppo criminale modifica l’ipotesi iniziale, secondo cui a gestire il gruppo ci fosse una sola persona, e che si trattasse di un uomo. e aggiunge complessità a un caso che continua ad allargarsi.

Ai due amministratori la procura di Roma contesta la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite, un’accusa che comprende la pubblicazione sistematica di foto e video di donne spesso inconsapevoli di essere esposte a una platea di migliaia di utenti. Il ruolo della donna sarebbe emerso dall’esame dei dispositivi sequestrati dalla Polizia postale: secondo gli inquirenti, i due amministratori utilizzavano telefoni e sim intestati a terzi, per non essere identificati. Il loro ruolo era quello di moderare e pubblicare i contenuti. 

Il risvolto sociologico

Lungi dal depotenziare il carattere misogino del gruppo, il coinvolgimento diretto di una donna aggiunge complessità alla questione.
Tornano alla mente le parole della giornalista e scrittrice Francesca Barra che, parlando di deepnude, ha evidenziato l’esigenza di intervenire sul piano sociale: “Ho capito sin dall’inizio che questa sarebbe stata una battaglia prima di tutto culturale”, ha spiegato ai microfoni di Demografica.

Per Barra, “Bisogna prima di tutto sensibilizzare sull’importanza del consenso, combattere l’idea che oggettivizzare e sessualizzare il corpo femminile sia normale, contrastare l’uso di questi strumenti come arma di ricatto, di minaccia e di controllo. Credo che l’abuso di potere vada combattuto in ogni campo da chi ha la possibilità di farlo”.

Secondo gli esperti rimuovere le fratture di genere per mettere al centro l’essere umano è il primo passo per contrastare le discriminazioni: “Spesso quando si parla di genere ci si concentra esclusivamente sul femminile, dimenticando che esiste anche un genere maschile”, ha spiegato a ottobre Mara Ghidorzi, Gender Expert di Fondazione Libellula commentando i risultati dell’indagine L.U.I. (Lavoro, Uomini, Inclusione) 2025 promossa con la partnership scientifica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

Non può esserci reale cambiamento senza uno sguardo condiviso. Abbiamo voluto ascoltare il punto di vista degli uomini per avviare una nuova conversazione sulla parità: è evidente che su alcuni temi c’è ancora poca consapevolezza, ma siamo in una fase di cambiamento. Il cambiamento però, va sempre guidato”, ha chiosato Ghidorzi.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

© Riproduzione riservata

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