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Non aumentano (molto) i poveri, ma diventano più poveri

Oltre 2,2 milioni di famiglie in povertà assoluta (8,4%), 5,7 milioni di individui coinvolti (9,8%) nel 2024. Numeri fermi rispetto al 2023, ma soltanto in superficie. Sotto scorrono fratture che si allargano: minori e famiglie numerose, chi vive in affitto, operai e stranieri. La geografia non aiuta: il Mezzogiorno trattiene quasi il 40% della povertà familiare assoluta e vede crescere l’intensità del disagio. In cinque anni, dal pre-Covid a oggi, la platea dei poveri è aumentata di 1,1 milioni di persone.

“Se i dati sulla povertà appaiono stabili rispetto al 2023, il confronto col periodo pre-Covid è impietoso… Il numero di famiglie povere passa da 1.674.000 del 2019 a 2.224.000 del 2024… Il numero di individui poveri cresce nello stesso periodo da 4.593.000 a 5.744.000, +1,1 milioni in 5 anni”, afferma il Codacons.
“L’inflazione che colpisce gli alimentari rischia di spingere verso la soglia di povertà una fetta crescente di famiglie… un terzo dei nuclei taglia oggi l’acquisto di cibi”.

Dove la povertà si addensa (e quanto è profonda)

La mappa 2024 conferma un’Italia tripolare. Mezzogiorno: 10,5% di famiglie in povertà assoluta, oltre 886mila nuclei; quasi 4 su 10 delle famiglie povere del Paese vivono qui. Nord-Ovest: 8,1% (595mila famiglie). Nord-Est: 7,6% (quasi 395mila). Centro: 6,5% (349mila), l’area meno colpita. In termini di distribuzione, il 44,5% delle famiglie povere è al Nord, il 39,8% al Sud, il 15,7% al Centro: l’incidenza resta più alta nel Mezzogiorno, ma anche il Nord trattiene una quota non marginale del fenomeno.

La tenuta apparente nasconde due segnali: nelle Isole la povertà assoluta individuale cresce dal 11,9% al 13,4%; e l’intensità della povertà – quanto la spesa dei poveri sta sotto la linea – nel Mezzogiorno passa dal 17,8% al 18,5%. Al Nord l’intensità si ferma al 18,5% (19,1% Nord-Ovest; 17,6% Nord-Est), al Centro al 18,0%.

La dimensione urbana aggiunge complessità. Nei comuni piccoli non periferici delle aree metropolitane l’incidenza tocca l’8,9%; nei comuni centro di area metropolitana è 7,8% in media, ma sale al 12,5% nel Mezzogiorno e all’8,2% al Nord. Nei territori dove i servizi dovrebbero ammortizzare il rischio, l’ascensore sociale resta fermo ai piani bassi.

Il profilo per età è un altro spartiacque. Minori: 13,8% (quasi 1,28 milioni), massimo dal 2014, stabili sul 2023 ma inchiodati in alto. 18-34enni: 11,7% (circa 1,15 milioni). 35-64enni: 9,5%, il massimo della serie storica. Over 65: 6,4% (oltre 918mila). La povertà resta più giovane, e questo è un problema che si trascina nel tempo: chi parte in ritardo, spesso non recupera.

Come si calcola la povertà in Italia? Il punto dopo l’aggiornamento Istat

La povertà si misura in metri quadrati e in figli

La povertà assoluta colpisce dove ci sono figli. Le famiglie con minori povere sono 734mila (12,3%). Nelle coppie, la frequenza cresce con il numero dei figli: 7,3% con un solo minore, 10,6% con due, 20,7% con tre o più. Le famiglie monogenitore con minori stanno al 14,4%. Nelle forme “di altra tipologia” – nuclei coabitanti, membri aggregati – si sfiora il 23,9%. Non è soltanto questione di reddito: pesano sovraffollamento, stabilità del lavoro, reti deboli.

Quanto poveri sono i poveri con figli? L’intensità arriva al 21,0%, ben sopra il 18,4% del totale famiglie: vuol dire tagliare più fondo sulle spese essenziali. La condizione occupazionale della persona di riferimento fa la differenza: tra gli operai o assimilati l’incidenza tocca il 18,7%; se la persona di riferimento è non occupata, 23,2%; se in cerca di occupazione, 20,0% per i nuclei con minori. È uno schema ricorrente: bassa qualifica + figli = rischio alto.

La cittadinanza moltiplica i divari. Nelle famiglie con minori di soli italiani l’incidenza è 8,0%. Con almeno uno straniero sale al 33,6%; di soli stranieri schizza al 40,5%. Nel Mezzogiorno le famiglie con minori e stranieri toccano il 46,2%, al Nord 31,3%, al Centro 30,6%.

Anche l’abitare sposta l’ago. Nelle famiglie povere con minori che vivono in affitto l’incidenza è 32,3%; tra i proprietari si ferma al 6,1%. Affitto medio per le famiglie povere: 373,18 euro mensili, contro ~437 euro dei non poveri. La cifra può sembrare più bassa, ma è insostenibile in rapporto a redditi già al margine. Qui si consuma la frattura decisiva: l’abitare come moltiplicatore del rischio.

La povertà in Italia diventa ‘generazionale’

L’Italia dei quasi poveri

La povertà relativa è la fascia cuscinetto: 10,9% delle famiglie (oltre 2,8 milioni), 14,9% degli individui (più di 8,7 milioni). La soglia per una coppia è 1.218,07 euro mensili. Anche qui la geografia spacca: Nord 6,6% (Nord-Ovest 7,3%, Nord-Est 5,6%), Centro 6,5%, Mezzogiorno 20,0%. L’intensità resta intorno al 20,8%, ma nel Sud sale al 21,7%.

A livello regionale, Puglia 24,3%, Calabria 23,5%, Campania 20,8% sono in cima; Valle d’Aosta 4,1%, Trentino-Alto Adige 4,7%, Veneto 5,2%, Toscana 5,3% in coda. Le città metropolitane del Mezzogiorno segnano punte intorno al 20,9%, i comuni piccoli non periferici toccano 12,2% a livello nazionale.

La taglia familiare è il moltiplicatore: 33,7% per le famiglie con 5+ componenti (fino al 43,5% nel Mezzogiorno, 27,4% nel Nord). Coppie con tre o più figli minori: 31,8% (con 39,6% nel Sud). Le famiglie “di altra tipologia” restano alto-rischio (23,5%, 35% nel Mezzogiorno). Cresce l’incidenza per le coppie con più di 65 anni (7,0%, dal 5,6% del 2023): segnale che non basta lavorare, serve quanto e come si lavora.

La posizione professionale ribadisce la frattura: 25,5% se la persona di riferimento è in cerca di lavoro (nel Mezzogiorno 31,6%); 18,5% tra operai/assimilati (Sud 28,9%); 8,0% tra i ritirati (Nord 4,5%, Centro 4,1%, Sud 16,7%). Per gli indipendenti “non imprenditori/professionisti” l’incidenza è 10,3% in Italia, 18,4% nel Mezzogiorno: l’autonomia senza scala dimensionale non protegge.

La cittadinanza è un discrimine netto: 9,0% per le famiglie di soli italiani, 30,0% con almeno uno straniero (e 31,9% per i soli stranieri). Dentro la povertà relativa, l’Istat individua le “sicuramente povere” (spesa sotto l’80% della soglia): 4,9% in Italia, 9,7% nel Mezzogiorno. Le “appena povere” (sotto del 20%) sono 6,0%, 10,3% nel Sud; il 3,4% si colloca entro il 10% dalla linea (Sud 5,8%). È un bordo affollato: basta poco per scivolare, e spesso quel “poco” è canone d’affitto, spesa alimentare, bollette.

“Nel Mezzogiorno la quota di cittadini in povertà assoluta sale dal 10,1% del 2019 al 12,5% del 2024”, nota ancora il Codacons. Un trend coerente con l’ampliamento dell’intensità del fenomeno nella stessa area e con l’aumento dei tagli sui consumi alimentari segnalato dall’associazione.

Stranieri cinque volte più esposti, ma due terzi dei poveri sono italiani

Nel 2024 oltre 1,8 milioni di stranieri sono in povertà assoluta: 35,6% (quasi uno su tre), cinque volte gli italiani (7,4%). Tra le famiglie con stranieri l’incidenza è 30,4%, che sale al 35,2% per i soli stranieri e scende al 6,2% per i soli italiani. Eppure, due terzi delle famiglie povere (il 67%) sono famiglie di soli italiani: più di 1,49 milioni di nuclei. Il peso demografico conta: la maggioranza dei residenti è italiana, quindi la maggioranza dei poveri lo è.

Il divario si allarga nel Mezzogiorno: 42,5% tra i soli stranieri contro 8,9% tra i soli italiani (+33,6 punti). Nel Nord la distanza è 25,2 punti (30,4% vs 5,2%), nel Centro 24,9 punti (29,1% vs 4,2%). Differenze che riflettono mercati del lavoro segmentati e costi dell’abitare più rigidi per chi ha contratti precari o redditi discontinui.

La variabile alloggio è dirimente: tra le famiglie povere con stranieri il 75,9% vive in affitto, 14,1% è proprietaria, 10% usufrutto/uso gratuito. Tra i poveri italiani il 33% è in affitto, 54,5% proprietario, 12,5% in uso gratuito. L’affitto non è solo una spesa: è margine di manovra che manca. Con redditi bassi, ogni aumento colpisce subito.

Nel lavoro è la qualifica a fare la forbice. Nelle famiglie con persona di riferimento operaio o assimilato, l’incidenza per i soli stranieri è 35,3%, oltre quattro volte quella dei soli italiani (8,7%). Se la persona di riferimento è occupata, tra gli stranieri la povertà resta 29,1% (contro 4,5% dei soli italiani): avere un lavoro non basta se il lavoro vale troppo poco o è troppo intermittente.

Nei centri metropolitani la forbice non si chiude: per i soli stranieri l’incidenza arriva al 35,3%; nei comuni piccoli non periferici addirittura 37,9%. È un rischio strutturale, non un incidente: si concentra dove alloggi e servizi costano di più e dove l’ingresso nel lavoro avviene nei gradini più bassi.

Perché “non peggiora” non vuol dire “va bene”

La stabilità dell’incidenza nazionale è il titolo; il sottotitolo sono intensità che crescono in alcune aree, gruppi che non escono mai dalla zona rossa, bordo della povertà relativa affollato. Tra 2019 e 2024 la povertà assoluta ha allargato la propria base: famiglie povere da 1,674 milioni a 2,224 milioni; individui da 4,593 milioni a 5,744 milioni. La fotografia 2024 dice che non stiamo scendendo, ma non dice che stiamo risalendo.

Tre punti di caduta ritornano con ostinazione:

  • Abitare: l’affitto come moltiplicatore del rischio (22,1% vs 4,7% tra proprietari), con differenze territoriali marcate e un impatto superiore su stranieri e famiglie con minori.
  • Lavoro povero: la povertà assoluta tocca il 15,6% tra gli operai e oltre il 20% tra chi cerca lavoro; nella povertà relativa gli operai stanno al 18,5% (Sud 28,9%).
  • Composizione familiare: numero dei figli come variabile chiave; oltre un quinto delle famiglie con 5+ componenti è in povertà assoluta, un terzo in povertà relativa.

Il resto è contesto: istruzione come barriera parziale (4,2% con diploma, 12,8% con licenza media), età come ammortizzatore (over 65 6,4%, ma famiglie giovani oltre il 10%), aree metropolitane che non garantiscono più opportunità diffuse (nel Sud 12,5% di povertà assoluta nei comuni centro). È qui che si decide se la stabilità del 2024 è una pausa o una trappola.

“I numeri… potrebbero peggiorare ulteriormente”, avverte il Codacons, richiamando l’effetto dell’inflazione alimentare e i tagli ai consumi di un terzo dei nuclei. Sul bordo, basta un rincaro per trasformare la stabilità in arretramento.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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