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La sindaca Salis in aula contro gli insulti sessisti: “A un uomo incapace, a una donna putt***”

“Sotto i miei post c’è chi mi dà della puttana, che so suonare il flauto e che dovrei prendere un po’ di belino per calmare i nervi”. Silvia Salis, sindaca di Genova, ha scelto di leggere quelle frasi in Consiglio comunale, davanti ai colleghi e alle telecamere, durante la discussione promossa dalla capogruppo di Avs Francesca Ghio sull’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole.

Ha parlato di una società che “normalizza la violenza” e considera accettabile rivolgersi a una donna pubblica con insulti che non verrebbero mai riservati a un uomo. “Non mi hanno dato dell’incapace – ha detto – perché alle donne dici puttana, non dici incapace. E questo ce lo dobbiamo ricordare”.

La prima cittadina ha portato in Aula la materia grezza dell’odio sessista, non per chiedere tutela ma per mostrarne la profondità. Ha letto commenti firmati, non anonimi: “Questo signore, che ha in braccio sua figlia e lavora, sotto un mio post ha scritto: “Sei proprio una gran puttana””. Poi un altro: “Sotto un post del Carlo Felice c’è scritto che si vede che suono il flauto, chissà a cosa fa riferimento”. E ancora: “Pensasse a prendere un po’ di belino, le calmerebbe i nervi”. Persone con nome, cognome e spesso foto di famiglia.

Ex atleta olimpica, oggi alla guida della città, Salis ha trasformato i propri profili social in un osservatorio sul linguaggio di genere: una testimonianza diretta del clima che attraversa la rete e si riflette nella vita pubblica.

L’educazione affettiva come antidoto alla violenza

Il contesto in cui la sindaca ha parlato non è secondario. La mozione in discussione riguardava l’introduzione dell’educazione sessuo-affettiva nelle scuole, una proposta già respinta dalla maggioranza di centrodestra in Regione.

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Salis ha usato la sua esperienza personale come punto di partenza per affrontare un tema più ampio: l’educazione al rispetto e alla consapevolezza di sé e dell’altro. “È un dato di fatto che c’è ipersessualizzazione – ha spiegato – ed è proprio per questo che serve un’educazione affettiva e sessuale. È dimostrato come avere una formazione in questo campo aiuti a commettere meno errori. Lo è in tutti i campi, non solo in questo”.

Ha ricordato che un anno prima la stessa assemblea aveva approvato all’unanimità una mozione, proposta dall’attuale assessora Bruzzone, per introdurre l’educazione affettiva nelle scuole. “Il personale non è vero che non è formato – ha aggiunto – nei centri antiviolenza la formazione c’è, lo sappiamo tutti. Ma il dato è che i femminicidi aumentano”. Se la violenza cresce, se l’ipersessualizzazione è un fatto riconosciuto, perché non affrontarla alla radice?

La discussione si è così spostata dal piano politico a quello culturale. Salis non ha parlato di programmi scolastici, ma di una necessità civile. “Io parto da un osservatorio personale – ha detto – sono la sindaca di una città, non rappresento una categoria da proteggere. Vi dico cosa succede ogni giorno sui miei social. È sotto gli occhi di tutti”.

Il suo obiettivo era evidenziare una contraddizione: il rifiuto di discutere di educazione affettiva mentre il linguaggio pubblico si degrada proprio su quel terreno.

Avs Liguria, dopo l’intervento, ha espresso solidarietà alla sindaca e ribadito la volontà di proseguire la battaglia: “Questi episodi confermano la necessità di inserire l’educazione sessuale e affettiva nei programmi scolastici. Continueremo a batterci per trasmettere la cultura del rispetto e del consenso anche ai più giovani”.

Una società che normalizza la violenza

Il linguaggio usato contro la sindaca non riguarda solo l’offesa, ma la riduzione del corpo femminile a strumento di delegittimazione. Non si contesta una decisione, si colpisce l’immagine. Lo ha detto la stessa Salis: “Non so se a un candidato sindaco uomo, in campagna elettorale, avrebbero postato le sue foto in bikini”. La sessualizzazione del corpo femminile in politica non è una novità, ma l’episodio genovese mostra come la rete ne amplifichi portata e velocità. Non servono giornali o tribune: basta un commento per spostare il discorso dal piano pubblico a quello dell’umiliazione personale.

Nel caso di Salis, il bersaglio non è solo lei, ma la funzione che ricopre. Colpire una sindaca significa colpire un’istituzione e, di riflesso, la credibilità del potere femminile. Il problema non è se chi subisce reagisca, ma quanto questo tipo di aggressione finisca per scoraggiare altre donne a esporsi. È l’effetto più pericoloso: la creazione di un clima in cui la partecipazione femminile diventa un rischio.

“Questa è la società nella quale ci muoviamo – ha detto Salis – e se voi dite che in questa città non serve un’educazione affettiva e sessuale, siete molto lontani dalla realtà”.
Il richiamo all’educazione affettiva non è dunque un capitolo scolastico, ma una proposta politica di lungo periodo. Inserire nelle scuole strumenti per comprendere la relazione, il consenso e il linguaggio del rispetto significa agire prima che la discriminazione si radichi.

Educare al consenso: l’importanza dei segnali nell’era digitale

Non è una questione di buone maniere, ma di formazione civica. Eppure, la resistenza a introdurre queste materie nei programmi resta forte: il problema non è solo normativo, ma identitario. Mettere in discussione il modo in cui si parla, si desidera e si rappresenta l’altro significa toccare l’idea stessa di autorità e potere.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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