L’onda di protesta della Generazione Z raggiunge anche il Marocco. “Gli stadi ci sono, ma gli ospedali dove sono?”, è solo uno dei tanti slogan intonati dai giovani marocchini. Il nome del movimento è “GenZ212”, dove il numero sta a simboleggiare il prefisso telefonico internazionale del Paese. Dal 27 settembre sono scesi nelle piazze per protestare contro la situazione sociale ed economica.
A far crescere il dissenso e portare in piazza i giovani marocchini è stata la morte di sei donne dopo i parti cesarei all’ospedale Hassan II di Agadir, presumibilmente dovute alla malagestione dei farmaci anestetizzanti. Il tutto, mentre il governo investe 320 milioni nella costruzione del Grande Stadio Hassan II, nel distretto di Benslimane.
Da Rabat a Casablanca, passando per Tangeri e fino a Marrakech, da ieri le proteste non si arrestano e non sono mancati gli scontri della polizia. Ma quello del Marocco non è un caso isolato. Il movimento giovanile ha sembianze simili a quello che ha portato alla caduta del governo e all’incendio del Parlamento in Nepal, o alla caduta del governo ieri in Madagascar.
Un moto giovanile, quindi, che si spinge dall’Africa settentrionale, fino all’Asia centrale e meridionale, passando per America Latina e Europa: la Generazione Z ha deciso non sottostare alle politiche governative, ad affari legati alla malavita, a carenze gravi nei principali ambiti economici e civili. Oggi rappresentano uno dei gruppi sociali più attivi dell’ultimo decennio e non sembrano intenzionati a fermarsi.
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Chi sono i giovani della GenZ e cosa vogliono?
La Generazione Z, cioè coloro nati tra il 1997 e il 2012, ha dato il via a una serie di mobilitazioni in diverse parti del mondo. Protagonisti alcuni tra i Paesi che vivono da decenni una serie di crisi strutturali, come Nepal, India, Sri Lanka, ma anche Marocco, Madagascar, Perù.
Adolescenti e giovani si attivano sulle piattaforme digitali. Usano slogan, hashtag e account social, creando gruppi di confronto. Si organizzano su Facebook o TikTok, ad esempio. E il caso marocchino è solo uno degli ultimi. Tutto ha avuto inizio sulla piattaforma Discord, nella quale, oltre 86mila membri si sono dati appuntamenti nelle piazze di Agadir, Rabat e Marrakech ieri 30 settembre alle 18.
Morocco Youth Voice è tra le più organizzate online: con una mappa interattiva sul sito indica i prossimi punti di ritrovo, dichiara l’obiettivo della “non violenza” e predica la sostenibilità ambientale durante le manifestazioni. I giovani marocchini chiedono le stesse cose dei coetanei nelle altre parti del Mondo: riforme immediate contro la corruzione dilagante, maggiori fondi per l’istruzione, per la sanità (in Marocco ci sono solo otto medici ogni 10 mila abitanti) e politiche lavorative dignitose (il tasso di disoccupazione giovanile è pari al 36% e al 20% per i laureati).
Intanto, l’Algeria punta ad essere la prossima: le autorità hanno già messo in guardia i cittadini su quelli che sono degli appelli social che invitavano a manifestare il prossimo venerdì. Come i coetanei marocchini, si fanno chiamare “GenZ213”, col prefisso algerino. E ancora, proprio ieri, ad esempio, anche in Madagascar, le proteste hanno costretto il presidente Andry Rajoelina a sciogliere il governo. O in Perù, dove una riforma delle pensioni ha obbligato i giovani maggiorenni ad aderire a un fondo pensione e la reazione è stata scendere in piazza a protestare: oggi, sono al quinto giorno di manifestazione.
La reazione dei governi
Le reazioni dei governi alle mobilitazioni della Generazione Z variano per intensità e strategia, ma mostrano un comune senso di urgenza e difficoltà nel contenere un fenomeno transnazionale. Dove non si è arrivati ancora allo scioglimento dei governi si pensa al contenimento del fenomeno.
In Marocco, le autorità hanno risposto con misure repressive: le manifestazioni sono state disperse in diverse città con l’intervento delle forze dell’ordine e centinaia di giovani sono stati fermati, mentre il governo non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali sulle richieste avanzate dai movimenti. In Algeria, dove il movimento GenZ213 ha lanciato appelli alla protesta per il prossimo venerdì, le autorità hanno già emesso avvisi di sicurezza e monitorano le piattaforme digitali per prevenire raduni spontanei.
In tutti i casi, le istituzioni sembrano reagire più alla dimensione pubblica e mediatica del dissenso che alle sue cause strutturali, evidenziando una difficoltà crescente nel dialogare con una generazione che si organizza fuori dai canali tradizionali e che rivendica diritti con strumenti nuovi e una voce globale.

Dai social al simbolismo di One Piece
Sono stati definiti in tutti i modi possibili: scansafatiche, fannulloni, annebbiati dall’uso degli smartphone. La Generazione Z, però, altro non rappresenta che giovani adolescenti cresciuti tra le mani delle generazioni precedenti e che si affacciano al mondo del lavoro vedendosi negati i propri diritti. I social, in tal senso, occupano uno spazio prioritario nelle loro vite. Trascorrono in media tra le 3 e 5 ore al giorno, si informano, comunicano, si mobilitano sui social. Quegli stessi cellulari, un tempo accusati di averli alienati dalla realtà, sono oggi gli strumenti con cui organizzano incontri reali, di persona, affollando le piazze di tutto il mondo.
La loro protesta è in netto distacco dai modelli di mobilitazione delle generazioni precedenti. Non sono legati a ideologie politiche o sindacali. Non scelgono leader carismatici, ma costruiscono reti transnazionali attraverso piattaforme come TikTok e Instagram, condividendo strategie, simboli e rivendicazioni. Il loro attivismo è più orizzontale che verticale, più visivo che verbale, e si nutre di riferimenti culturali globali come One Piece, che diventa metafora di ribellione contro un sistema percepito come corrotto e oppressivo.
Tra i simboli più riconoscibili e diffusi nelle piazze di tutto il mondo c’è, infatti, la bandiera della serie manga tra le più famose dell’ultimo trentennio. Con un teschio bianco su sfondo nero, emblema dei pirati protagonisti del celebre cartone nato nel 1997, la bandiera è diventata un fenomeno globale anche grazie alla cultura digitale. Oggi, quel vessillo non è solo un riferimento pop, ma un segno di appartenenza per una generazione che si identifica con la ribellione contro l’autorità.
La Gen Z, cresciuta tra schermi e algoritmi, in altre parole, impugna questo simbolismo come metafora della propria lotta contro un sistema percepito come ingiusto, impersonato nel manga dal ‘Governo Mondiale’, un’entità che controlla quasi tutti i Paesi e che i pirati sfidano per rovesciare lo status quo. In questo parallelismo, i giovani manifestanti si vedono come nuovi pirati, nomadi digitali; disillusi ma determinati, pronti a navigare controcorrente per reclamare giustizia, equità e futuro.
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Giovani
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