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Freddo e raffreddore: cosa fare per ammalarsi di meno in inverno

La sciarpa stretta al collo, il cappotto abbottonato fino al mento, la mamma che urla di non uscire perché fa troppo freddo. Per generazioni abbiamo creduto che il freddo fosse il nemico numero uno della salute in inverno. Eppure, il vero problema non sta nell’aria gelida delle strade, ma nel caldo eccessivo dei nostri appartamenti e dei locali affollati.

La verità sui virus invernali 

Il raffreddore è un’infezione virale, senza virus non c’è raffreddore: potremmo prendere quanto freddo vogliamo, ma se non veniamo a contatto con i microrganismi responsabili, la malattia non parte. Il freddo esterno favorisce i virus ma non possiamo contrarli semplicemente stando all’aperto: serve sempre un contatto con una persona infetta, per ammalarsi.
Al contrario, i batteri patogeni con il freddo si riproducono meno, proprio come accade nel frigorifero dove le basse temperature impediscono ai microrganismi presenti sul cibo di proliferare.

I virus respiratori come rinovirus e coronavirus sopravvivono meglio a temperature fredde e bassa umidità. Quando inaliamo aria fredda per soli 15 minuti, la temperatura delle mucose nasali cala di 9 gradi e questo riduce del 40% le nostre difese immunitarie locali. A temperature più basse nella cavità nasale, il rinovirus riesce a replicarsi in modo molto più efficiente perché la produzione di interferone (proteina antivirale) da parte delle cellule è ridotta.​ A tal proposito, va sottolineato che è fondamentale respirare con il naso e non con la bocca per aumentare la capacità antivirale del nostro organismo.

All’aperto ci sono meno patogeni nell’aria rispetto al chiuso. Il corpo umano ha diversi modi per adattarsi alle temperature esterne, dai brividi ai tessuti in grado di generare calore in maniera biochimica come il tessuto adiposo bruno, fino agli ormoni tiroidei che aumentano l’efficienza del metabolismo.​​ In sintesi, il freddo di per sé non crea il virus, ma può predisporre al contagio rendendo le mucose più vulnerabili e indebolendo la prima barriera di protezione. Il sistema immunitario diventa meno efficace con le temperature più fredde, aumentando il rischio di ammalarsi se si è esposti a un virus.

Nonostante queste premesse, esporre il nostro corpo al freddo fa bene.

Esporsi al freddo rafforza le nostre difese immunitarie

Esporsi al freddo in modo controllato non è masochismo, ma un vero allenamento per l’organismo.

Uno studio condotto dall’Università dell’Australia Meridionale e citato dalla ricercatrice Tara Cain dimostra che la pratica regolare di docce fredde quotidiane (per 20-90 secondi) è associata a minori assenze dal lavoro per malattia.

Il meccanismo è duplice, vale anche fuori dalla doccia, e risponde al vecchio adagio per cui “se non uccide, fortifica”.

Da un lato l’esposizione al freddo aumenta l’azione delle cellule immunitarie, in particolare dei monociti, generando una risposta antinfiammatoria che allena il sistema immunitario a maggiore resilienza. Dall’altro stimola il rilascio di endorfine, adrenalina, noradrenalina e dopamina: ormoni che riducono stress, ansia e migliorano la salute mentale.

Dopo dieci giorni di docce fredde il battito cardiaco diminuisce di dieci-quindici battiti al minuto, mantenendosi a quel livello per ventiquattro ore: meno stress, meno infiammazione. Il freddo attiva il metabolismo: anche stando seduti, in una stanza fredda si bruciano calorie in più rispetto a un ambiente surriscaldato. La tolleranza è allenabile, ma serve gradualità. Niente immersioni estreme in laghi ghiacciati: bastano pochi minuti al giorno di esposizione moderata per trasformare il freddo da nemico in alleato. Il corpo impara, si adatta ed è più pronto ad affrontare i virus stagionali.

Coprirsi serve davvero?

Tenere al caldo naso e bocca con una sciarpa quando l’aria è molto fredda aiuta a proteggere le cellule ciliate dal gelo e a mantenere attivo il meccanismo di autopulizia delle vie respiratorie: in questo senso riduce il rischio che i virus riescano ad attecchire. Tuttavia, è sbagliato coprirsi troppo durante l’attività fisica: se si è molto vestiti e si inizia a sudare, la cute si scalda creando un conflitto tra due esigenze dell’organismo. Quando fa freddo il corpo richiama il sangue verso l’interno, ma se la pelle si scalda il cervello tende a rimandare il sangue verso la cute per abbassare la temperatura corporea.​

Perché la febbre serve

Quando un virus attacca il nostro organismo, quest’ultimo risponde alzando la temperatura corporea perché l’aumento della temperatura corporea a 38-39 gradi attiva i linfociti T, stimola i neutrofili e crea un ambiente ostile alla proliferazione dei microrganismi. Temperature elevate riducono la sopravvivenza e la trasmissione dei virus influenzali. Per questo la febbre non va abbassata troppo presto, tranne quando, a prescindere dai gradi, si accompagna a sintomi preoccupanti tra cui stanchezza eccessiva e forte mal di testa, o in caso di particolare vulnerabilità soggettiva.

Il paradosso degli ambienti chiusi 

Il nesso tra freddo e malanni esiste, ma è indiretto e paradossalmente contrario all’aria che si respira fuori, concentrandosi invece dentro gli edifici. Durante i mesi più freddi si trascorre molto tempo al chiuso, in ambienti condivisi con altre persone, e questo aumenta il rischio di contrarre malattie respiratorie. Decisivo, quindi, non è il freddo pungente, bensì il contesto: stiamo più tempo in ambienti chiusi, spesso affollati, respiriamo aria meno umida, passiamo in continuazione da caldo a freddo. Tutte condizioni che rendono la vita più facile ai virus e più difficile alle nostre difese.​

La temperatura ideale e il ruolo dell’umidità

Alzare troppo il riscaldamento d’inverno non protegge, ma espone maggiormente ai malanni di stagione come raffreddore e influenza. Temperature domestiche di 24-25 gradi creano un ambiente ostile per il nostro sistema immunitario. L’aria diventa troppo secca attestandosi facilmente al 20%. L’aria secca fa grattare la gola e pizzicare il naso perché disidrata le mucose rendendo le vie aeree più vulnerabili agli attacchi virali.​

La temperatura domestica ottimale è intorno ai 18-20 gradi. Mantenere questi livelli aiuta a preservare l’umidità ambientale e proteggere le mucose respiratorie. Un igrometro (strumento che misura l’umidità relativa dell’aria) può essere utile per monitorare l’umidità dell’aria negli ambienti domestici.

Umidità al 50 percento, temperatura a 19 gradi, finestre aperte dieci minuti al giorno: la ricetta per un inverno sano è fatta di numeri, non di paure. E se proprio dobbiamo temere qualcosa, che non sia l’aria fredda, ma quella viziata dei luoghi chiusi dove i virus festeggiano.

Popolazione

content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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