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Anatomia di un femminicidio: quando l’assassino è dentro casa

I dati italiani sugli omicidi del 2024 dell’Istat ci consegnano una verità scomoda ma ineludibile: sebbene il numero totale degli omicidi stia diminuendo (-2,1% rispetto al 2023), le donne vittime non beneficiano di questa tendenza, essendo diminuite di una sola unità (116 vittime totali). Ma chi è l’assassino? E perché è fondamentale chiamare questa violenza “femminicidio”?

Il volto dell’assassino: è in casa tua

Dimentichiamo il cliché dell’assassino incappucciato che agisce nell’ombra della notte. Il ritratto statistico dell’omicida di una donna è quasi sempre quello di un uomo (nel 92,1% dei casi nel 2024). Soprattutto, è qualcuno che la vittima conosce, ama, o che ha amato. L’ambiente domestico o affettivo è il teatro della violenza in circa l’86,2% dei casi.

L’uomo che uccide è, nella maggioranza assoluta dei casi, il partner o l’ex partner: sono 62 le donne che nel 2024 sono state uccise in questo contesto, e in 61 di questi casi l’autore era un uomo. I partner attuali (mariti, conviventi, fidanzati) sono i responsabili del 47,4% degli omicidi nella coppia, seguiti dagli ex partner (6,0%).

Ma non è solo il compagno ad esercitare la violenza fatale. Altre 37 donne sono state uccise da un altro parente, con gli autori che sono uomini nell’81,1% dei casi. Tra questi, gli assassini più frequenti sono i figli (19 casi), seguiti dai genitori (sette casi).

In sostanza, il volto dell’assassino abituale non è quello di uno sconosciuto: è il volto di chi condivideva o aveva condiviso l’intimità e la vita quotidiana della vittima.

Perché non è solo “omicidio”: la furia e l’accanimento

Si parla di femminicidio – un termine adottato anche dall’Italia seguendo il framework delle Nazioni Unite – proprio perché si tratta dell’uccisione di una donna in quanto donna, e le modalità di esecuzione del crimine riflettono un movente legato al genere. Si stima che l’incidenza degli omicidi di genere sia altissima, pari al 91,4% nel 2024. Cosa distingue questo delitto da un comune omicidio?
1. Il contesto del conflitto: il movente principale è legato a “liti, futili motivi, rancori personali” (44,8% dei casi femminili), che per l’82,7% si consumano in un contesto familiare/affettivo. Questo suggerisce che la violenza è scatenata da dinamiche di possesso, controllo e fallimento relazionale.
2. La crudeltà: mentre gli omicidi maschili sono spesso commessi con armi da fuoco (31,3%) e legati alla criminalità organizzata, le donne sono uccise prevalentemente con altre modalità (39,7%) che implicano maggiore vicinanza fisica e brutalità. Un dato agghiacciante è l’accanimento sul corpo della vittima (come strangolamento, soffocamento, coltellate o percosse). Questo si verifica in oltre la metà dei casi (54,5%) di femminicidi commessi da partner o parenti, e nella totalità dei casi commessi da altri autori, motivando la classificazione del crimine come omicidio di genere.
3. L’estrema fragilità: per le donne anziane, il cui rischio di omicidio raggiunge il picco (0,81 ogni 100mila donne residenti tra i 75 e gli 84 anni), l’omicidio è spesso motivato “dall’idea di mettere fine alla sofferenza della donna” o da segnali di squilibrio psicologico dell’autore, situazioni che riguardano più della metà dei casi di donne over 55.

Un problema italiano e culturale

Quando si cerca un colpevole, spesso la discussione pubblica devia verso la criminalità straniera, ma i dati smentiscono questa visione. Il femminicidio non è un fenomeno di importazione: è una piaga autoctona.

Le donne italiane, infatti, sono vittime di omicidi commessi da italiani nel 93,4% dei casi. Sebbene le vittime straniere abbiano una maggiore probabilità di essere uccise da altri stranieri (circa il 52%), anche in quel caso quasi la metà è vittima di propri connazionali (48,0%). Questo conferma che gli omicidi sono prevalentemente intra-etnici. Il problema non risiede nella nazionalità dell’assassino, ma nella cultura della violenza che permea la sfera affettiva.

Mentre gli omicidi legati alla criminalità organizzata (prevalentemente maschili) si concentrano geograficamente soprattutto nel Mezzogiorno, i contesti familiari violenti che causano quasi tutti gli omicidi femminili non hanno una caratterizzazione geografica precisa. Sono distribuiti su tutto il territorio nazionale in modo “estemporaneo e casuale“. La violenza contro le donne è, per definizione, diffusa in ogni regione, dalla Valle d’Aosta alle Marche e alla Sardegna, che registrano le concentrazioni più alte di omicidi femminili.

Il femminicidio è il punto finale di una violenza che spesso è già in atto, fisica, sessuale, psicologica o economica. Circa 6 milioni e 400mila donne (il 31,9%) hanno subito almeno una violenza fisica o sessuale nel corso della vita, e le forme più gravi, come lo stupro, sono commesse in oltre il 63,8% dei casi dal partner o dall’ex partner.

Quando l’omicidio si consuma nell’ambito della coppia o familiare, l’autore si suicida in quasi un terzo dei casi (31,3%), percentuale che sale al 34% se si considerano solo gli omicidi all’interno della coppia. Questa tragica chiusura lascia dietro di sé una scia di sofferenza, inclusi i 25 orfani minorenni stimati nel 2024 a causa di femminicidi nella coppia.

Il femminicidio, dunque, è un crimine che ci riguarda tutti. È la punta dell’iceberg di una violenza di genere pervasiva, che si manifesta tra le mura domestiche in ogni parte d’Italia e che trova le sue radici nei rapporti di potere e di possesso coltivati nella nostra società. Il killer non viene da lontano; spesso è già dentro casa.

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content.lab@adnkronos.com (Redazione)

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